di Davide Giacalone
Attraversiamo daincoscienti una parentesi di stabilità finanziaria. Le condizioni di mercatosono favorevoli, ma le usiamo per galleggiarci sopra, senza navigare. Latradizionale faziosità della nostra vita pubblica (non solo politica) spingesempre a leggere le cose in chiave di pro o contro qualcuno o qualcosa. E’ assaisciocco, come in conclusione proverò a dire. Prima osserviamo lo scenario nelquale ci si muove.
E’ irreale il mondodei tassi d’interesse a zero, quando non negativi. Nel rogo della speculazionesui debiti sovrani è stato un buon estintore, azionato dalla Banca centraleeuropea con saggezza, sebbene in ritardo. Ma lo si usa per spegnere le fiamme,non per irrigare le piante. Alla lunga droga il paziente che aveva primacalmato. Inoltre ha agito bene come sintomatico, ma non sprigiona effettiterapeutici.
Guardiamo a quelche accade in casa nostra: grazie alla riduzione artificiale dei tassid’interesse s’è realizzato il più consistente taglio della spesa pubblica, relativaal costo del debito. Ciò avrebbe dovuto favorire gli altri tagli, destinati acomprimere la spesa corrente e permanente, ma non ci sono stati. Mancandoquelli manca il calo drastico della pressione fiscale, il che riduce a unsospiro la crescita del mercato interno e dell’occupazione. Eppure tassi cosìbassi dovrebbero favorire indebitamento privato, consumi e investimenti. Perchénon partono in misura adeguata? Capita perché in un mercato dinamico ed aindebitamente diffuso, come gli Stati Uniti, rendere conveniente l’accesso aisoldi significa spingere cittadini e imprese a prenderli e usarli. Anche lì,però, fra mille dolori e titubanze, sanno che non può durare ed è imminente uniniziale, lento, rialzo dei tassi. Da noi non funziona perché l’indebitamento èper gran parte pubblico, sicché renderlo meno oneroso non spinge il mercato, mala spesa pubblica, che, però, ha già raggiunto vette spropositate, per cui sistabilizza nella sua enormità. E tutto resta fermo.
Perché con tassinegativi, talché prestare soldi allo Stato comporta una spesa, anziché unguadagno, quei titoli si continua a comprarli? In parte lo si deve arisparmiatori fossilizzati, cui si rifila una fregatura, impoverendoli (glialtri comprano prodotti che li aiutano a investire i propri soldi sparpagliandorischi e opportunità in giro per il mondo, con il risultato di spingere lacrescita altrove). In parte lo si deve a fondi pensionistici, che è meglio liinvestano in quel che non rende piuttosto che, come s’è messa a fare la Cassa depositie prestiti, in quel che perde. In buona parte si deve al fatto che la massa diliquidità che le banche si trovano in pancia non si traduce in prestiti, perchébanche sottocapitalizzate non possono esporsi a rischi troppo alti, ed è troppocostoso lasciarla in custodia alla Bce, che per invogliare la circolazione deldenaro ha reso onerosi i depositi. Quindi si sceglie l’impiego meno oneroso,benché non remunerativo. Ecco perché le aste del debito pubblico continuano atrovare compratori.
Il tasso d’interesse,inoltre, è anche un segnalatore di rischio: più è alto più, ragionevolmente, sene corrono. Quando è a zero vuol dire che non ci sono rischi? E’ vero ilcontrario: al primo sobbalzo i rischi schizzano al cielo, tanto che c’è chivuole introdurre l’ipotesi del non rimborso immediato dei titoli pubblici. Equesta è una ulteriore distorsione. Morale: la Bce ha fatto bene ad allargare icordoni, ma, come ripetiamo dal primo momento, non basta e, da solo, neancheserve. Si compra tempo. Se lo si spreca, come accade sotto i nostri occhi, ilsuo esaurirsi sarà complicato e doloroso. Usarlo per assumere insegnanti diginnastica, scarseggiando quelli di matematica, è uno sport elettoralmentedivertente, ma si rischia d’arrivare sudati all’appuntamento con i conti chenon tornano. In questo modo ci siamo giocati la riforma intitolata alla “buonascuola”, ma che, in realtà, è ispirata all’antica ricerca di “un buon posto”.Poi si vedrà se è anche di lavoro.
Così anche su altrifronti. La riforma del lavoro è timida, appena abbozzata, i suoi effetti realisono stati marginali, ma sembra una grande cosa, s’accompagna a una storicarottura. Perché? Perché i suoi oppositori non chiedevano di più, comeservirebbe, ma di meno. L’Italia è il luogo in cui chi si dice riformista ècontrario alle riforme, segnalando che il nome e la cosa spesso divorziano. Lostesso vale per la legge di stabilità: produce deficit, realizza unadiminuzione minima della pressione fiscale (se ci sarà), spostandone l’aumentoconsiderevole all’anno successivo. Chiunque sappia leggere e scrivere, nonchésia consapevole della situazione reale, non esita a definirla: conservativa,per nulla innovativa e lassista. Invece sembra l’opposto, perché i suoioppositori non ne segnalano le enormi insufficienze, ma le minuscole crudeltà.
Tutto ciò ci dice,come altre volte nel passato, anche recentissimo, che l’Italia della spesapubblica e delle rendite è sovrarappresentata, mentre quella esposta allacompetizione è sottorappresentata. Finiti i partiti politici, la raccolta deivoti non ha più interpretazioni ideali, ma calamite materiali. E nessuna è piùpotente della spesa pubblica. Questo è il frutto avvelenato del crollo dellapolitica, ridottasi a grottesca rappresentazione esclusivamente elettorale. Sec’è ancora (e c’è) chi è in grado d’intendere, apra bene occhi e orecchie. Es’appresti ad aprire la bocca.