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DELLA SINISTRA E DEL PD

     Giugno 26, 2017   No Comments

di Ines Briganti

Scrivere “della Sinistra” o “sulla Sinistra” non è facile o meglio, potrebbe anche essere facilissimo dal    momento che non mancano certo gli argomenti; la difficoltà è come delimitare il tema per tentare di  presentare qualche riflessione nel modo più coerente possibile, evitando anche di annoiare chi legge. Non mi sottrarrò certamente dall’esprimere una mia valutazione di amarezza su quanto sta accadendo a   proposito delle candidature del Partito Democratico alle presidenze regionali: chi mi conosce sa bene che  non ho mai fatto il “pifferaio” in qualunque ruolo mi sia trovata ad agire, politico o istituzionale che fosse.

All’indomani delle Primarie PD per la designazione del Segretario del Partito, Primarie la cui partecipazione mi aveva fatto ben sperare perché, ancora una volta – attenzione, mi è capitato di dire: potrebbe essere anche l’ultima! – si è data fiducia ai Dirigenti di questo Partito, sembra che la musica non sia molto cambiata.

La mozione di Franceschini, alla quale avevo aderito, aveva costruito il progetto PD per le Primarie su cinque parole chiave Fiducia, Regole, Uguaglianza, Merito, Qualità: anche nella mozione “Bersani”, pure in termini diversi, questi concetti erano chiaramente sostenuti. Bene, non mi soffermerò più di tanto su Uguaglianza, Merito e Qualità, idee-progetto da realizzare soprattutto laddove si abbia responsabilità di governo, ma su Fiducia e Regole vorrei dire che la Fiducia, sembra ovvio, ma bisogna guadagnarsela – e il comportamento attuale del PD non mi pare proprio che se la stia guadagnando – quanto alle Regole, andrebbero rispettate.

Perché allora se le Primarie, scritte nello Statuto, sono state volute con passione da tutti non si sostengono con altrettanta passione, e soprattutto trasparenza ovunque, dando in questo modo a chi nelle Primarie ha creduto motivo di pensare che non sono più i vertici del Partito a decidere?

Sappiamo bene che l’Italia profonda non è un Paese progressista e che per avere qualche probabilità di andare al Governo la Sinistra è costretta ad allearsi con altre forze, ma tutto questo dovrebbe avvenire con regole interne ed esterne trasparenti e soprattutto con comportamenti coerenti, guardando con attenzione alle competenze delle persone e ai programmi di governo adeguati alle esigenze di quel territorio e, possibilmente, realizzabili.

Ma ritornerò ad esprimere valutazioni sulla Sinistra – o meglio sull’unico partito che può rappresentare l’alternanza di Sinistra possibile al Governo di Centro Destra, il Partito Democratico – (non vedo altra Sinistra “viva” del nostro Paese) dopo un breve excursus storico.

“Ma io desidero dirvi un’altra cosa: voi dovete riuscire a dare al nostro partito un carattere non chiuso in se stesso, come era il carattere che avevamo una volta, sia quando eravamo legali come pure sotto la persecuzione fascista. Dovete dargli un carattere molto ampio, in modo che tutto il popolo senta realmente, non soltanto che il partito esiste, ma senta che il partito si occupa dei suoi interessi e di tutte le cose che interessano il popolo in generale”.

Questo diceva Palmiro Togliatti il 3 Ottobre del 1944 a Firenze in un discorso tenuto ai quadri, “nella duplice necessità di guidare il passaggio dalla clandestinità alla vita pubblica e di contemperare l’originario modello bolscevico di quadri rivoluzionari con un Partito votato alla mobilitazione di massa nella società Democratica” (cito testualmente da Maurizio Ridolfi). Il PCI di allora era una parte importante della Sinistra di allora e intuiva dunque indispensabile un progetto politico consono alla nuova Democrazia, a un nuovo “patriottismo” costituzionale. (Con molta serenità cito Palmiro Togliatti così come, con altrettanta serenità condivido un giudizio ormai storicamente consolidato sul fatto che il Partito Comunista Italiano ha commesso molti errori, ha condiviso per un certo tempo un’ideologia sbagliata): ma la domanda da porsi allora è: perché la società italiana ha reso possibile la nascita di un Partito come il PCI, al quale si sono iscritti o per il quale hanno votato operai e borghesi, artigiani e contadini, marxisti e liberali, atei e credenti? Un Partito che al suo culmine ha raggiunto i voti della Democrazia Cristiana? Che Aldo Moro ha cercato di associare negli anni di piombo al Governo del Paese? Una mia parziale risposta è perché allora, come ora, pur nel rispetto di una necessaria contestualizzazione storica si avvertiva il bisogno di rifondare un Paese che aveva perso allora le buone idee del Risorgimento così come ora sta perdendo i valori fondanti della Democrazia.

“Dovete capire bene – diceva Aldo Moro rivolto al gruppo dirigente – perché, attenti come siamo ad ogni evoluzione democratica guardiamo con particolare attenzione là dove sono masse di popolo e di lavoratori, là dove sono ideali e aspirazioni che riguardano l’avvenire della società e la difesa della dignità umana”. Questa era allora la politica della Sinistra, rappresentata soprattutto dal PCI – ma non solo – e dalla Democrazia Cristiana di Aldo Moro: capire, interpretare i tempi e le istanze nuovi e dare ad essi risposte nuove. (Per inciso erano questi i tempi in cui, da giovane insegnante, da indipendente di Sinistra, seguivo con passione e grande interesse, anche se con atteggiamento sempre positivamente critico, l’evoluzione riformista del PC e mi lasciavo coinvolgere con piacere dai miei allievi nei confronti dei quali nutrivo il massimo rispetto, in accalorate discussioni di cui ho grande nostalgia!) A questo punto mi è utile, nell’ambito del mio ragionamento che si sforza di essere logico-cronologico, recuperare alcune riflessioni di Pietro Scoppola quando, parlando delle ragioni del PD, sottolineava la necessità di portare a compimento quello che egli chiamava “il processo fondativo della Democrazia Italiana”. La Guerra fredda, i caratteri specifici del PCI, talune ambiguità della DC hanno molto pesato sul ritardare il processo di normalizzazione della vita politica del Paese, tanto che sono emerse le contraddizioni e le “incongruenze” della storia italiana.

Sono riemerse dal profondo della società una Destra anomala senza storia, non paragonabile alla Destra degli altri paesi europei (ho sempre sostenuto che grande danno ha recato alla vita politica del Paese la mancanza di una Destra liberale laica) i vizi antichi di un popolo restio alla legalità, insofferente dello Stato e le debolezze, al tempo stesso, di uno Stato lontano dalla Società. Di qui emerge, ancora secondo Scoppola, l’esigenza del compimento del processo fondativo della Democrazia Italiana, compimento che, solo in parte, era avvenuto con la Resistenza e il Patto Repubblicano e Costituzionale. Si tratta quindi di chiamare ad essere protagonisti i soggetti popolari radicati nella storia del Paese in stretta collaborazione con altri filoni del riformismo italiano.

E questo dovrebbe essere il compito del Patito Democratico, riformista, che fa propri i valori della Sinistra storica e non solo: se vuole essere davvero un Partito nuovo e, al tempo stesso, avere un fondamento, deve riprendere questo processo incompiuto e portarlo avanti coerentemente. A causare questo “ritardo” nel processo di democratizzazione del Paese hanno contribuito soprattutto due fenomeni: da una parte la crisi del PC nel corso degli anni ’80 che, in mezzo a infinite difficoltà, tentò un profondo processo di trasformazione perché un insieme di fattori ne aveva minato la forza e l’autorevolezza (i tracolli elettorali, il forte calo degli iscritti soprattutto nel reclutamento dei giovani, la dispersione di una risorsa come la militanza diffusa, l’emergere di inusuali ma ormai strutturate correnti). Dall’altra parte il Partito Socialista smette di essere un Partito nel senso tradizionale del termine e diventa il prolungamento pratico-organizzativo della trama ordita dal Presidente-Segretario. Divenuta una macchina per la gestione del potere, sia sul piano nazionale sia nelle numerose amministrazioni locali, il PSI, perduta la guida del Governo e divenuto sempre più il Partito del leader, si trovò senza una praticabile strategia politica. Dunque è al PD, quale forza politica di centro sinistra, potenzialmente in grado di attrarre anche parte di un “volgo disperso che nome non ha” – come direbbe il poeta – che chiediamo di essere il Partito in grado di compiere il processo di cui parlava Scoppola, con le alleanze necessarie, ma anche con quelle regole di trasparenza e di coerenza di cui si diceva prima.

A quali condizioni, con quali strumenti, per quali obiettivi? Ragioniamone.

Dopo aver tanto esaltato il “nuovismo” è arrivato il momento di rendersi conto che comunque, una “nuova storia” è incominciata. E noi possiamo non chiederci ad esempio se lo Stato italiano, basato sull’attuale rapporto fra il Nord e il Mezzogiorno, resisterà alla prova? E possiamo non domandarci quale ruolo avrà la nostra vecchia penisola a fronte delle nuove potenze geo-politiche? L’Italia ha un assoluto bisogno di una nuova guida politica e morale che ridisegni il suo futuro tanto che il Paese sembra investito da una forte crisi morale prima ancora che sociale e politica.

Io non vedo un’ondata reazionaria di Destra (e, per favore, non gridiamo al Fascismo – categoria storica ben precisa che va collocata nel suo tempo) ma vedo un fenomeno altrettanto pericoloso: la perdita di fiducia in un destino comune, il disprezzo degli italiani per la politica ed il finire col considerare le regole della Democrazia come un “optional” di cui tenere o non tenere conto e non, invece, la condizione del loro stare insieme. Ripeto: distinguiamo, non gridiamo al fascismo.

Ma la novità c’è. È la creazione, dopo mezzo secolo di libertà repubblicana, di una concentrazione mai vista del potere economico ma anche culturale, nel senso di un controllo sempre più forte dei media, dell’immaginario collettivo, del senso comune e in questo le responsabilità della Sinistra sono grandi!! Smettiamola quindi di stupirci del successo di certa Destra, anche tra i ceti più deboli. Il populismo vince perché il riformismo ha tentato di dire e forse anche di fare alcune cose ma è rimasto senza popolo! Dunque il PD può avere con sé l’avvenire solo ad una condizione: riuscire ad indicare all’Italia un nuovo orizzonte entro il quale la sua unità nazionale, la sua cultura millenaria, il suo “genio” possano farsi valere come essenziali in una nuova e diversa struttura del mondo. Innovare l’Italia non è solo un problema di tecnologia: è dare a questa penisola un nuovo ruolo storico, internazionale, mediterraneo. L’Italia non è un insieme di territori – come ripetutamente ci ricorda il nostro Presidente della Repubblica. Pare invece che la virtù dei giovani aspiranti alla leadership del PD sia quella di rappresentare “il territorio”. Ma una classe dirigente, degna di questo nome, non rappresenta “il territorio”: interpreta la nazione e ne indica il percorso. Innovare significa anche questo: dare al PD una nuova dirigenza capace di investire davvero sul talento italiano, sulla formazione, sulla ricerca, sulla cultura, sulla scuola, ma anche sulla bellezza dei luoghi e su tutto ciò che può rendere la vita della nostra gente più felice e più creativa. Significa operare affinchè gli italiani tornino ad essere quelli che “fanno le cose belle che piacciono al mondo”: gli italiani, non la somma di veneti e di siciliani. Il Partito Democratico non decollerà mai se non sarà il risultato di una nuova sintesi storico-politica e culturale. La prima cosa è riorganizzare un Partito che misura la sua capacità di stare in campo non solo per i suoi “no” al Governo ma per come sa porsi come forza di governo con proposte chiare, costruite dal basso, realizzabili, condivise: questo è il senso delle parole chiave di cui parlavo precedentemente – Uguaglianza, Merito, Qualità. Il Paese ha un gran bisogno di giustizia, di morale, di equità sociale, di ridistribuzione di ricchezza, di ridistribuzione di diritti e di doveri, di valorizzazione del merito in ogni settore, in ogni ambito della vita sociale. Se non si antepone la realizzazione di questi obiettivi, in tempi necessari ma certi, alla preoccupazione di costruire statuti, regolamenti che burocratizzano oramai il Partito in modo intollerabile e alle diatribe interne; se si continua a parlare come si fa da due anni a questa parte di “radicamento” ma nulla si fa per cominciare davvero a realizzarlo; “se dovessimo assistere alla incapacità della Sinistra di trovare quel tanto di intesa necessaria per svolgere una costruttiva e credibile opposizione allora dovremo mettere in conto, come probabile, un accelerato ulteriore declino del nostro Paese, la fuoriuscita dal contesto politico e civile dell’Europa più progredita”. Questa è la posta in gioco secondo Massimo Salvadori.

Si sono persi per strada pezzi di popolo e di storia, anche Partiti che, per la loro storia, identità, partecipazione alla costruzione della Carta Costituzionale non possono non riconoscersi in una Sinistra che sia però riformista, democratica, progressista: anche a questo recupero il Partito Democratico dovrebbe pensare, così come ciascuno di noi dovrebbe fare, almeno fino a quando resta viva la motivazione per rimanere dentro questo progetto politico.

  •   Published On : 7 anni ago on Giugno 26, 2017
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  •   Last Updated : Giugno 26, 2017 @ 9:34 pm
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