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Debellare la minaccia per la libertà

     Giugno 27, 2017   No Comments

di Giampaolo Castagnoli

“Jesuis Charlie”… nelle ultime settimane lo abbiamo detto in tanti ed andavafatto per circoscrivere dentro un perimetro chiaro quello che accomuna, anchein mezzo a diversità profonde, chi crede che la libertà sia il pilastro dellanostra civiltà, il barometro della nostra convivenza, l’aria senza cui unademocrazia non può respirare. Ma adesso quel “Je suis Charlie” devetrasformarsi in un un “Je suis Libertè” più totalizzante. E soprattutto deveinnalzarsi da efficace slogan a realtà tangibile.

Quelloche è accaduto il 10 gennaio nella nostra bella piazza del Popolo è statostraordinario per varie ragioni. E’ qualcosa che non dimenticherò mai la scenadi quasi tremila persone pronte a ritrovarsi assieme, senza etichette identitarie(e la loro rinuncia a “piantare bandierine” in una circostanza del genereesalta, a mio parere, le loro identità), in modo molto semplice e spontaneo,per stringersi attorno ad un bene collettivo così alto. Ed è statofondamentale, perché George Bernanos lo ha scritto con invidiabile acutezza:“La maggiore minaccia per la libertà non sta nel lasciarsela togliere, perchéchi se l’è lasciata togliere può sempre riconquistarla, ma nel disimparare adamarla”. Mi ha colpito anche la grande partecipazione alla manifestazione digiovani e di quelli che chiamiamo stranieri, ma prima o poi dovremo iniziare achiamare “nuovi cittadini”, spiegando in modo chiaro, non solo a loro ma anchealla “italica” gente, che diritti e doveri sono i due piatti di quella bilanciache si chiama società democratica e ha le sue radici, guarda un po’, nell’illuminismofrancese.

Nonbasta però esprimere il nostro sdegno per la mattanza nella redazione dellarivista satirica “Charlie Hebdo”. E non è neppure sufficiente dire che nonsiamo disposti ad arretrare di un millimetro sul terreno della libertà. Vafatto di più. Vanno fatti dieci passi in avanti per debellare il virus cherischia di indebolire quella libertà, o addirittura ucciderla.

Allorala prima cosa da chiedersi è con che virus abbiamo a che fare, che origine ha.E poi, data una risposta a questa prima domanda, bisogna fare attenzione adindividuare la medicina giusta. Perché se si sbaglia, quel virus rischia didiventare ancora più micidiale.

Sullecause, ho letto due analisi che mi sembrano degne di attenzione e riflessione.La prima l’ha postata, in un dibattito su Facebook, Francesco Gualdi, cesenatecollaboratore di cattedra all’Università La Sapienza: “Non ci sparano perquello che facciamo o abbiamo fatto, ma per quello che siamo”. La seconda èun’intelligente provocazione di Karim Metref, pubblicata su “Internazionale”,col titolo “Io non mi dissocio”. Ad un certo punto, questo blogger che vive aTorino scrive: “Non ci sto con questi folli, non ci sto quando lo fanno aParigi ma non ci sto nemmeno quando lo fanno a Tripoli, Malula o Qaraqush. Nonsto con loro e non sto con chi li arma un giorno e poi li bombarda il giornodopo… Questa Europa deve essere costruita su valori di pace e convivenzaanche altrove, non solo internamente, ammesso che internamente lo sia… Lorocreano mostri e poi, quando gli si rivoltano contro, noi dobbiamo chiederescusa, dissociarci e farci piccoli… Non chiedo scusa a nessuno e non midissocio da niente. Io devo pretendere delle scuse. Io devo chiedere a questisignori di dissociarsi, definitivamente, non ad alternanza da questa gente:amici in Afghanistan e poi nemici, amici in Algeria e poi nemici, amici in Libiae poi non ancora nemici lì ma nemici nel vicino Mali, amici in Siria e poi orametà amici e metà nemici…”.

Quelledi Francesco Gualdi e Karim Metref sembrano due posizioni contrapposte, einvece io le vedo come complementari. E nel loro mix scorgo una strada daseguire. E’ semplicistico e ideologico dire che il terrorismo lo crea l’Occidentecon le sue politiche ciniche in giro per il mondo, le sue sporche guerre e -aggiungo io – con una strisciante ostilità, sempre più diffusa, control’immigrato, il profugo, il diverso. Ma bisogna fare i conti, con coraggio esenza ipocrisie, anche con queste nostre storture. Per esempio, nella “marciaper la libertà” fatta a Parigi è insopportabile avere visto tra i vari leaderinternazionali in prima fila quello dell’Arabia Saudita. Quel Paese amico degliStati Uniti e che non crea imbarazzi all’Europa è lo stesso che in quelle oredava le prime 50 frustate (su un totale di mille previste) ad un attivista chesi è limitato a chiedere aperture liberali, ed è lo stesso che ha incarceratodue giovani donne colpevoli di avere voluto guidare un’auto! Già la sento larisposta: “Bellezza… è la realpolitik, ci sono relazioni economiche da noncompromettere, il regime saudita ci serve come contrappeso ad integralismiancora più pericolosi”. Basta, io non ci sto più! E mi permetto di dire cheanche i Paesi liberi e democratici non dovrebbero starci più. Anche perché iterroristi, come dice Gualdi, non ci sparano per quello che facciamo ma per quelloche siamo, però quello che facciamo aiuta non poco ad armare le loro mani, adavvelenare le loro menti, a riempire di odio i loro cuori, creando sempre nuovamanovalanza per l’orrore.

Altempo stesso, sono convinto che sia vero che l’attacco che ci sta scuotendo siadiretto essenzialmente contro “quello che siamo”. E allora da qui deve partirela nostra reazione. Ma proprio per questo dico no agli incantatori che ciinvitano a buttarci a capofitto dentro una guerra di civiltà contro l’Islam,che detto in modo così tranchant vuole dire trattare da nemici 1 miliardo e 600milioni di abitanti della Terra. Diffido anche da chi mi dice che dobbiamoessere meno aperti e magari limitare un po’ le libertà in nome della sicurezza.Fare questo significherebbe avere già perso in partenza la guerra vera, che èquella dei valori: da una parte c’è la libertà, dall’altra ci sono le tenebre. Secombattiamo le tenebre con le tenebre, il nome del vincitore lo sappiamo già.Mi importa poco che siano tenebre della marca A piuttosto che B. Sempre tenebresarebbero.

Eallora il nostro “essere” difendiamolo con più forza rispetto a quanto abbiamofatto finora, ma mirando bene. Perché se non si mira bene, non solo si rischiadi colpire chi non c’entra, ma addirittura di suicidarsi con un colpo dirimbalzo. Mirare bene, per me, vuole dire più intransigenza ed anche unarepressione più dura verso ogni forma di integralismo, violenza, violazione deidiritti fondamentali dell’uomo, ma simultaneamente significa maggiore dialogotra tutti quelli che ripudiano quella visione ripugnante della vita. A partiredal sostegno a viso aperto a chi dentro realtà oscurantiste, interne edesterne, si batte per allargare gli spazi di libertà e rispetto per ogni essereumano. A chi è pronto a lottare per questo sono addirittura pronto a perdonareun po’ di integralismo nel farlo.

  •   Published On : 6 anni ago on Giugno 27, 2017
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  •   Last Updated : Giugno 27, 2017 @ 9:58 am
  •   In The Categories Of : Politica Nazionale

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