Che sinistra! Che bella! Che nuova! Finalmente! Che sinistra è mai questa! Che vecchio conio! Che brutta roba! Che brutto nuovo! Che sinistra? Che cos’è? Come è? Quale? Già! È possibile una casistica ampia di esclamazioni, positive e negative; di lapidarie espressioni emotive, sentimentali; di giudizi trancianti. Potere del punto esclamativo. Preferiamo quello interrogativo. Sottende una domanda e più domande che ci stanno tutte, in questo momento. E le risposte e i tentativi di risposta (quelli che non si esauriscono in una semplice lapidaria esclamazione) fanno la voglia di ricercare una buona comprensione di quel che accade e fanno dibattito e materia di serio dibattito. Il dibattito a sinistra e sulla sinistra lo ospitiamo e lo sproniamo da tempo in Energie Nuove. Dà segno di quanto grande sia la pentola che bolle e di quanti siano gli ingredienti che stanno in bollitura.
Il Pd è il maggior partito della sinistra. Ha raggiunto alle europee il 41%. Ma il Pd sta attraversando un dibattito di straordinaria ampiezza e valenza. Aspro; di rottura. Ha raggiunto vette, in questi giorni, che fanno parlare, se non ancora preludere, di spaccature radicali, di scissioni possibili; della fine del Pd in quanto tale e/o della costruzione di qualcos’altro alla sua sinistra. La piazza di Roma con la Cgil su posizioni quasi diametralmente opposte a quelle di Renzi e dei “suoi” riuniti alla Leopolda di Firenze. Scontro e differenze anche enormi non solo su una cosa (le politiche del lavoro, il jobs act). Anche sul modo di intendere il partito; l’analisi e la valutazione della crisi; la visione del futuro, di come uscire dalla crisi e rilanciare il paese; di quale debba essere il riordino istituzionale, di come stare nell’evolvere della vita democratica ( divisione anche se sia evoluzione o no a questo riguardo). E molto altro ancora. Essendo il Pd un grande e grosso partito; proveniente da una fusione(discutibile e che fa discutere ancora) di storie contrapposte e rimarchevoli della nostra storia repubblicana: quella dell’ex Pci, Pds, Ds e quella di gran parte della ex Dc, Ppi, Margherita; dalla zuppa dell’Ulivo. Dall’impasto dell’antiberlusconismo e dalla melassa “nuovista” scivolosa di qualunquismo (che è anche prodotto di sinistra e non solo di destra). Già certi toni sono emblematici di durezza di confronto-scontro e spaccatura. Basti seguire gli epiteti rivolti a Renzi. Molti del suo partito ne parlano come di destrorso fra i peggiori. Lui dice di coniugare una nuova e moderna sinistra di contro a “rottami” di vario genere (tanti del suo partito) che sono l’espressione del peggior conservatorismo. Con questa situazione del Pd è completa l’evidenza della crisi dei partiti, della “repubblica dei partiti”, cui eravamo abituati. Intorno al feticcio dei quali ancora tanti si attardano.
“Come unico erede nonché unico sopravvissuto sia pure di secondo grado tra tutti i fondatori della Repubblica, era giusto che solo dal Pd potesse venire la parola fine all’intero universo ideologico del Novecento italiano e delle sue culture politiche. Cosa che sta per l’appunto avvenendo con Matteo Renzi.” Così Galli della Loggia. E ancora: “La fine…poteva venire solo da chi fosse in grado di abbattere la fortezza della Sinistra: perché era dietro queste mura che si era da tempo rifugiato tutto l’establishement repubblicano; perché scomparsa la Democrazia cristiana e tutti gli altri, solo i lontani eredi dell’antico Partito comunista hanno custodito fino a oggi l’ultima fiammella dell’esarchia ciellenistica, origine del sistema”. “Infine perché se si vuole davvero cambiare l’Italia, la prima cosa è una rivoluzione culturale contro un insieme di stereotopi del passato che hanno il loro habitat elettivo proprio a sinistra. Questa rivoluzione dall’alto è quella a cui si è dedicato Matteo Renzi smantellando virtualmente il Pd (hanno ragione i suoi avversari interni): gettandone via pezzi della storia, distruggendone i luoghi comuni della tradizione, le idee ricevute del suo ‘popolo’…ma si spiega: se in tanto tempo i padri, i vari D’Alema e Bersani non sono stati capaci di cambiare nulla, cercando invece di far sopravvivere tutto con la speranza che funzionasse ancora, allora è inevitabile che i figli procedano senza guardare troppo in faccia a nessuno.” Angelo Panebianco ancor prima si era, con la consueta puntualità, soffermato sul fatto che “Renzi sta cambiando l’identità della sinistra. O almeno ci sta provando…Se si guarda ai risultati concreti (il riferimento di Panebianco è all’azione di governo) il giudizio è negativo, ma il premier ha il merito di avere avviato un’importante rivoluzione culturale”. Stefano Folli, in un fondo del “sole 24 ore” di alcune settimane fa, a fronte delle polemiche che vogliono intestare a Renzi una predisposizione a riecheggiare la Tatcher, riprendeva semmai che vi fosse una qualche eco che richiamava Ugo La Malfa. Molti non lo sanno(del resto è così talmente trascurata la nostra storia, anche quella più recente!) ma il richiamo di Ugo La Malfa può coniugarsi bene con molta della “rivoluzione culturale” che dice Panebianco. Si tratta di chi massimamente ha sviluppato una “polemica” a sinistra volta – attraverso il superamento delle sue molte arretratezze ed inadeguatezze, ideologico- culturali – a farla diventare quella “sinistra democratica”, europea ed occidentale, che ancora pienamente non c’è, ma che c’è finalmente motivo di sperare possa esserci. E questo non è un inserimento nella querelle del Pantheon di cui si ciancia (se più Berlinguer o più Fanfani o non so chi). Questo mero riandare ad etichette ed effigi non serve a molto. Ciò che deve contare sta su un altro terreno e livello. Semmai , per dirla con Francesco Piccolo “la questione è se imboccare davvero la strada del riformismo; e cioè fare e non invocare riforme”. E magari fare pensare (appello a chi ne è capace e ne ha voglia) che “per essere di sinistra bisognerebbe essere progressisti, bisognerebbe accogliere il presente e avere voglia di prendersi la responsabilità di guidare il Paese – e questo comporta sia cadere in errore sia collaborare con chi ci sta. Di conseguenza, per essere di sinistra, bisognerebbe non essere come è stata la sinistra negli ultimi 30 anni”. Come dice Panebianco sul piano culturale sta avvenendo qualcosa: più di un macigno nello stagno. Ed è un bene. E bisogna che si approdi alle soluzioni messe in moto dall’azione di governo. Magari bisognerà anche sostenerle visto i molti che si frappongono: “la doppia anima reazionaria” dell’Italia. “E’ reazionaria perché è conservatrice: una larga parte del paese non vuole cambiare nulla (non vuole nemmeno che tutto cambi affinché nulla cambi; non vuole cambiare e basta); ed è reazionaria perché è vittima, a sinistra, del sentimento di sconfitta dei rivoluzionari”. Ogni cosa per loro è insufficiente se non peggiorativa. “Bisognerebbe mettere in atto la vera rivoluzione in questo Paese: fare riforme (anche se) insufficienti. Forse il riformismo è esattamente questo. Attuare una serie di riforme che riempiano man mano la distanza tra il punto di partenza e un punto di arrivo soddisfacente. In mezzo, c’è un cambiamento che avrà un cammino sempre meno insufficiente”. Anche noi, e lo diciamo da tempo, siamo critici su alcune delle azioni mosse da Renzi e dal suo governo. Ad esempio la riforma istituzionale ed elettorale. Potrebbe essere assai migliore. Ma se nello squilibrio parlamentare il massimo che può passare è quello in campo (e qualche sua correzione, speriamo migliorativa), allora si vada avanti con quello. Noi, peraltro, continuiamo a sperare che sia una tappa che consente poi un cammino ancora più spedito verso una riforma vera anche della forma di governo. E relativo conseguente, migliore, assestamento di un più efficace e democratico sistema politico. Questa sinistra, che sinistra? Continuiamo a dibattere partendo dalla domanda. Facciamo a meno e tariamo le esclamazioni, sia quelle di un verso che dell’altro. Certo è che questo dibattito sarebbe opportuno fosse incalzato e serrato da parte del Pd. Al suo interno e allargandosi all’esterno, inglobandone quanti non intendono essere solo osservatori. Ma il Pd non ci pare volto a dibattere. Qui, in loco, ci pare chiuso. Serrato in se stesso che è come dire delegato in toto a un gruppo molto ristretto che ne decide mosse e sorti. Non sarà solo con le primarie (di cui peraltro sarebbe curioso conoscerne la sorte eventuale, dato il declinante favore che hanno incontrato in vista delle regionali), che si pensa di fare ed esaurire un dibattito di straordinaria importanza come quello che ovunque si sta attivando, tranne che, appunto, nella nostra realtà e nel Pd locali.