di Orlando Piraccini
A Cesena, una “questione musei” esiste da tempo. Ignorata, o non convintamente affrontata,dai passati governi cittadini, essa è oggi ancora aperta.
Lasperanza è che prima o poi qualcosa succeda. Anche se non si hanno indizi d’unapresa d’atto ufficiale sull’esistenza del problema. Mentre, invece, qualcosaemerge dalle pieghe del dibattito sullo stato della cultura cittadina, che è seguìtoall’apertura del nuovo polo bibliotecario di piazza Bufalini, ma che anchesulla stampa sembra ora concentrarsi piuttosto sulle trafile burocratichelegate agli apparati, alle dirigenze, a nascenti commissioni e consulte:senza peraltro apprezzabilisottolineature sul fatto che certo un buon servizio pubblico dipende dallebuone leve del comando, ma che senza (o con mezza) squadra, ovvero senza (opochi) operatori specializzati (tecnici, conservatori, animatori, divulgatori,e via lavorando) non si vincono le partite, neppure quelle in campo culturale.
Ma,tornando alla “questione museale”, dico della confidenza fatta di recente aqualche amico d’aver invano atteso per un anno intero che qualcuno lassù (nelpalazzo) o nel tempio (malatestiano) del sapere si ricordasse di una ricorrenzaun po’ speciale. Un compleanno non da festeggiare, ma per riflettere un po’.
Einvece niente. Silenzio. Ho sperato nei giornali, ho sperato perfino nell’editoreCasalini: lui, che faceva l’assessore quando, trent’anni fa (ora si conta qualchemese in più) nasceva a Cesena, appunto, la Pinacoteca Comunale: a un secolo didistanza dalla sua fondazione, e mezzo secolo dopo la sua stessa “soppressione”all’interno della Biblioteca Malatestiana, che già negli anni ’30 si trovavaevidentemente alle prese con ragioni di spazio per il proprio depositolibrario.
Quelladata 1984 andava ricordata, a mio avviso; ma tanto più gioverebbe adesso unoscatto di memoria, se si considera lo stato di isolamento nel quale la civicapinacoteca è venuta a trovarsi all’interno dell’ormai smantellato compartoculturale del San Biagio.
Narranole cronache del tempo che fu trionfale l’accoglienza cittadina al nuovo museo, somiglianteforse a quella riservata di recente all’apertura del grande polo bibliotecariodi Piazza Bufalini. E resta memoria deilusinghieri giudizi riservati alla struttura museale, all’ordinamentoespositivo, ai supporti documentari, didattici e divulgativi, risultati altermine di lungo periodo di verifiche e di progetti, di accurate campagne dicatalogazione e restauro del patrimonio. Così come negli atti del temporisultano le volontà di far seguire a quella “rinascita” tutta una serie diinterventi: ampliamenti di spazi, dotazioni di servizi essenziali (come quellidi deposito), all’interno di un “contenitore”, il San Biagio, che si presentavacon un alto tasso di promiscuità (tra servizi culturali e servizisocio-assistenziali).
E’accaduto, invece, che dopo un primo periodo “fisiologico” di splendore, laPinacoteca Comunale, nata anche per soddisfare la primaria necessità conservativadel patrimonio, ha iniziato un suo declino, riservandosi appena una nicchia dioperatività sul fronte della didattica artistica, e di fatto mancandol’obiettivo di una crescita e di uno sviluppo. Certo, si sapeva, che nonl’avrebbe agevolata in termini di audience l’assenza di una “eccellenza” , diuna “grande firma” nel patrimonio del museo; era dunque chiara la necessità diun lavoro quotidiano, sistematico per riscoprire, far conoscere e valorizzare le diverse componenti del museo,magari cominciando proprio dall’arte più vicina al nostro tempo, dai dueformidabili “cenacoli cesenati” d’inizio e di metà Novecento: quello verista-simbolista-decò dei Barbieri, Gianfanti, Golfarelli ed altri,e quello realista- espressionista iniziato con Caldari, Cappelli e Sughi.
Maniente è andato avanti; e anzi, senz’accorgersi che intanto la Pinacotecadecadeva, si è passati dal tempo della strategia (tanto fumosa quanto alla finefallimentare) del “museo diffuso” tra città e territorio a quello della progettazionedi nuovi poli, come il “Museo della Città” all’interno del complesso monasticodi Sant’Agostino. Senza dimenticare la linea museologica, che è sembrata ad uncerto punto vincente, di innestare il “meglio” del patrimonio figurativopubblico nella più che rinomata raccolta d’arte della Cassa di Risparmioall’interno del monumentale Palazzo dell’OIR.
Cosìa Cesena, mentre accade oggi, invece, che di ottimi (e pur sempre migliorabili)musei d’arte siano dotate le altre città maggiori nelle Romagne. Appena un annofa Imola ha fatto del “suo” San Domenico un esemplare “contenitore” perarcheologia, arte e storia, con al centro quel “monumento” alla scienza che èla “Raccolta Scarabelli”. E a Faenza, così spesso agli onori delle cronacheartistiche con il Museo (non solo nominalmente internazionale) delle Ceramiche,si va imponendo all’attenzione del pubblico anche la civica pinacoteca, fattaoggetto di alcuni favolosi lasciti e donazioni “d’autore”. E di Forlì non si parla solo per le grandimostre, ma per una “fabbrica museale” che si sta espandendo nella città dalcuore antico del Palazzo del Merenda. E di Ravenna ben si conoscono pregi evirtù racchiusi in quello scrigno austero della Loggetta Lombardesca. E non sista forse esaltando Rimini “contemporanea” sull’impianto storico del proprioMuseo della Città? Che poi l’arte musealmente trionfi anche in centri minoricome Riccione o Santarcangelo o Santa Sofia è un dato che può pure indurre icesenati a moti d’invidia e di gelosia oppure d’ammirazione e di considerazione;dipende.
Cosadovrebbe fare Cesena allora, per non essere (o forse sentirsi) un po’cenerentola?
Siricominci a parlarne, intanto, di questo stato d’arretratezza; e lo siriconduca ad un vero e proprio “piano regolatore” delle istituzioni culturali emuseali cittadine nel quale anche per l’ “archeologico” si indichino capacitàdi sviluppo dell’antico ordinamento (di cui sarà però bene salvaguardare letracce del magistero alto che fu di Giancarlo Susini); così come per la“civiltà contadina” dovranno essere rivisti i criteri di compatibilità con ilcontenitore malatestiano, che fu scelto in tempo di pionierismo museografico, quandoproprio una pretesa integrazione fra “beni” diversi tra loro fu all’origine diprogetti che appaiono oggi poco rispondenti alle ragioni della buona tutela edelle regole conservative.
La“location” (come si dice oggi) per un grande museo d’arte (e/o della città) nonmanca proprio a Cesena: che sia un San Biagio finalmente elevato al rangomuseale che certamente meriterebbe, o un Sant’Agostino concesso finalmente “intoto” alle esigenze e opportunità culturali, o un Palazzo dell’Oir che già in unprogetto dell’Istituto per i beni culturali risalente al 1979 veniva indicato come “cuore artistico” dellacittà; oppure, ancora, come l’excomparto del Roverella (oggi in disarmo, ma del cui destino ci si dovrebbe forseun po’ più preoccupare).
C’eradunque, e ancora ci sarebbe, un compleanno da ricordare, a mio avviso. Un’occasioneirrinunciabile per ripassare questi trent’anni della civica Pinacoteca come unastoria civica. Una storia nella quale la comunità cesenate si è comunquericonosciuta, intrisa di buone volontà, di speranze, di slanci e di passioni,ma anche di contraddizioni, di inerzie e di errori, ed alla quale sarebbe forseopportuno ripensare, e che sarebbe forse giusto oggi mettere a fuoco.
D’altraparte, quale certezza nel “nuovo” può esservi, se non si prova, almeno ogni tanto, a convertire la memoria in giudiziocritico?