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Cambiare il PD per cambiare il Paese

     Giugno 27, 2017   No Comments

di Damiano Zoffoli

Il 40,8% degli elettori, alle elezioni Europee, ha scelto il Partito democratico.
11.172.861 voti: +3.183.262 rispetto alle Europee del 2009 (le elezioni con cui è più corretto, almeno dal punto di vista metodologico, fare una comparazione), ma anche +2.513.716 rispetto alle Politiche del 2013 (che è forse il dato più interessante: nonostante si sia registrata una contrazione della partecipazione al voto, il Pd ha raccolto un numero molto maggiore di consensi, sia in termini percentuali, che in valore assoluto).
È il risultato più importante che un partito raccoglie dai tempi di De Gasperi, un record storico: il partito guidato dal Presidente del Consiglio dei ministri è il primo in tutte le regioni ed è in testa in tutte le province italiane, tranne tre (Bolzano, Isernia e Sondrio).
È “un voto dagli italiani per l’Italia”, come lo ha definito Alfredo Reichlin sull’Unità, parlando di “partito della nazione”. Il Partito democratico diventa così la prima forza politica tra i progressisti UE, l’azionista di maggioranza del nuovo PSE. Ma non solo. Il Pd di Renzi è anche in assoluto il primo partito nel nuovo parlamento di Bruxelles: la Cdu di Angela Merkel ha infatti eletto 29 deputati, contro i nostri 31.
Il voto fotografa un partito interclassista, finalmente capace di estendersi oltre il recinto delle regioni rosse e di uscire dal bacino del suo consenso tradizionale: prende i voti degli imprenditori del NordEst, oltre che dei lavori dipendenti, dei giovani, oltre che dei pensionati.
Matteo Renzi ha dimostrato che il partito a vocazione maggioritaria, di cui tante volte abbiamo parlato dalla fondazione del Pd, può esistere.
Abbiamo vinto quando abbiamo smesso di occuparci degli altri partiti (partendo dalle alleanze: ricordate la foto di Vasto?) e iniziato a raccontare al Paese (non solo a una parte di esso) chi siamo e cosa vogliamo fare, con qualche idea ben chiara (invece di lunghi programmi frutto di interminabili mediazioni).
Matteo Renzi ha capito che per vincere bisogna rivolgersi agli Italiani. A tutti gli Italiani. Tutti: di sinistra, di centro, di destra (ricordate quando, qualche anno fa, lo accusavano perché voleva prendere i voti “degli altri”?).
Le ragioni di questo successo? Gli elettori hanno visto una politica che è tornata a riappropriarsi del suo ruolo e della sua funzione: costruire ragioni di speranza e di futuro, da una parte; dare risposte concrete ai bisogni del Paese, dall’altra.
In questo la leadership di Matteo Renzi, che ha vinto il derby contro la rabbia di Beppe Grillo, e le prime scelte del suo Governo (dagli 80 euro, tutt’altro che un’elemosina, al superamento delle Province, dall’accelerazione data al percorso per le riforme istituzionali, fino al nuovo rapporto tra cittadini e PA) ha fatto la differenza.
Questo quadro ci conferma che di rendita non si vive più (del resto l’immobilismo, così come l’improvvisazione, è uno dei cancri della politica); che il voto ideologizzato non c’è più (6 punti di scarto per il Pd, tra Europee ed amministrative, è la stima dell’Istituto Cattaneo, mentre in passato avveniva il contrario: gli elettori non solo da una tornata all’altra, ma addirittura lo stesso giorno, hanno votato per due forze politiche diverse) e che questo dato non è acquisito per sempre.
Perché le fedeltà politiche, al tempo della personalizzazione della politica, sono scomparse. E, anche in Italia, oltre metà degli elettori cambia partito, schieramento e parte politica, mentre il 15% decide se e per chi votare negli ultimi giorni. Cosi, ogni elezione è un “salto nel voto”, come dice Diamanti. Una partita aperta, che neppure il PdR (il Partito di Renzi) può immaginare di vincere, senza un Pd competitivo.
E in questo ci sta la doppia sfida del Presidente del Consiglio e Segretario, a partire dalle prossime settimane: gli Italiani hanno chiesto il cambiamento, l’Italia sta cambiando, ma noi (leggi Partito democratico) cosa stiamo facendo?
Cambiare il Pd, per continuare a cambiare il Paese e chiedere all’Europa di cambiare, è il mandato che il risultato elettorale consegna a Matteo Renzi, ma anche a tutti noi.
L’agenda delle riforme è satura: legge elettorale e titolo V, riforma della pubblica amministrazione e della giustizia sono imprese titaniche al servizio delle quali deve mettersi tutto il Pd, in ogni angolo d’Italia, determinato a scardinare conservatorismi e interessi di cui è stato per anni il guardiano, soprattutto dalle nostre parti.
Entusiasmo, quindi, ma soprattutto grande responsabilità.
Avendo iniziato a cambiare noi stessi, ora siamo più forti per chiedere anche all’Europa di cambiare, del resto è questo che ci ha chiesto chi ha votato per i partiti europeisti, proprio in nome di quell’europeismo. La nostra azione nel semestre europeo, che ci apprestiamo a presiedere con alle spalle un mandato popolare fortissimo, in Parlamento e in Commissione, deve essere incentrata nel dare all’Europa un respiro più ampio delle questioni che l’hanno attraversata in questi anni: non è possibile una Ue che ci lascia soli con l’immigrazione, che si occupa dei bilanci degli Stati ma non di quelli delle famiglie e delle imprese.
Riuscire a scorporare dal patto di stabilità le spese per gli investimenti in scuola ed educazione, ricerca ed infrastrutture deve essere uno dei primi obiettivi.
Perché la nostra sfida è quella di far ripartire l’Italia, uscire dalla crisi economica, ma anche da quella forma di rassegnazione che spinge a dire che nulla può mai cambiare. Con il risultato conseguito alle elezioni europee e amministrative gli italiani ci hanno dato un riconoscimento, e cioè che siamo sulla strada giusta, ma anche un monito: fate bene e fate presto. Ma per cambiare serve coraggio.
Anche in Emilia-Romagna, dove siamo alla vigilia di due appuntamenti importanti: il congresso regionale del Partito democratico e la scelta di chi guiderà, e con quali idee, la nostra Regione nel prossimo quinquennio.
Siamo alla fine di un ciclo, dobbiamo essere capaci di offrire una risposta adeguata alla domanda di innovazione: non si tratta di scegliere la persona che è sempre stata dalla parte giusta (in termini di prime, seconde, terze e quarte ore), ma di costruire il progetto più in grado di rappresentare ciò che Renzi esprime.
In conclusione voglio fare un ringraziamento a ciascuna delle 52.282 persone che mi hanno dimostrato la loro fiducia, scrivendo il mio cognome sulla scheda delle Europee: mi sono mancati pochi voti, ma ho conosciuto tanti nuovi volti con cui condividere le sfide future. Un particolare grazie alla mia Romagna che mi ha sostenuto con tanto calore (quasi 31mila preferenze!). Un territorio che, a fronte dei cambiamenti istituzionali (azienda sanitaria unica, soppressione delle province, …) che lo stanno attraversando, deve essere protagonista dentro ad una Regione che cambia.

  •   Published On : 6 anni ago on Giugno 27, 2017
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  •   Last Updated : Giugno 27, 2017 @ 9:46 am
  •   In The Categories Of : Politica Nazionale

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