di Giuseppe Zuccatelli
Tutte le Regioni e, dentro le Regioni tutte le Aziende, si confrontano con la questione della sostenibilità, ovvero della capacità del sistema sanitario di offrire una risposta adeguata ai bisogni sanitari crescenti dei cittadini dentro un quadro di risorse sempre più limitate. In questo contesto occorre immaginare soluzioni diverse da quelle tradizionali, anche se consolidate. Come scritto nel titolo, forse provando a sparigliare, termine che i giocatori di scopone conoscono bene, si riescono a trovare soluzioni che aumentano la qualità dei servizi e abbassano i costi. In questo appunto propongo di sparigliare rispetto a tre questioni, ma molte altre potrebbero essere affrontate allo stesso modo: la formazione dei medici, la presenza di molteplici tipologie di rapporti di lavoro dentro il servizio sanitario nazionale e – infine – la rete cardiologica H 24.
Cominciamo dalla formazione dei medici. Vi sono dei problemi in sanità che tutti conoscono, ma che nessuno osa non solo affrontare, ma addirittura nominare. Solo per fare un esempio: la frattura non solo organizzativa, ma culturale e professionale, tra medicina ospedaliera e medicina universitaria e il ruolo delle Facoltà di Medicina nel percorso formativo dei professionisti della sanità. Questi problemi tabù – come si diceva prima – sono oggi affrontabili perché i vincoli economici in cui opera il SSN impongono di risolvere in modo laico (cioè sparigliando) ciò che fino a ieri non si osava nemmeno nominare. Le resistenze saranno forti e immediate e le motivazioni dotte, per rifiutare il confronto, articolate e “nobili” (come riferimento alla realtà di altri paesi e di altri sistemi sanitari), ma nel nostro SSN questi problemi non vanno più ritenuti off limits. Sui tempi e sui modi ci sarà molto da discutere, ma sulle criticità e sugli obiettivi di fondo l’accordo andrebbe trovato subito.
Due sono le grandi questioni irrisolte nel percorso formativo dei medici e delle altre professioni sanitarie, sia per quanto attiene i corsi di laurea che i corsi di specializzazione. Ciò che lega queste due questioni è la caratteristica unica delle Facoltà mediche rispetto a tutte le altre Facoltà e cioè l’esigenza assoluta che la formazione avvenga in ambiente ospedaliero e più in generale sanitario. Per tale peculiarità l’assetto organizzativo della formazione medica presuppone la totale disponibilità di una rete ospedaliera dedicata in via esclusiva, che per tali ragioni, ovvero anche ragioni di costo, diviene incompatibile da un lato con le risorse e le caratteristiche della formazione universitaria classica, e dall’altro con le risorse che il sistema sanitario deve porre a disposizione della formazione medica con oneri tanto ingenti quanto aggiuntivi, e per tali ragioni ormai non più compatibili.
La soluzione che risolve contemporaneamente i due problemi è l’allocazione integrale delle Facoltà mediche nel SSN e la dipendenza non più dal MIUR ma dal Ministero della Salute. In questo modo sarebbero gli ospedali e le strutture territoriali del Servizio SSN la sede unica della formazione di laurea e specialistica e cesserebbe la necessità di duplicare le risorse messe a disposizione perché sarebbero le risorse del FSN le stesse necessarie per la formazione. Resterebbero ovviamente identiche le norme di reclutamento ed i trattamenti del personale docente che opererebbero però nelle Aziende sanitarie e sotto il controllo del Ministero della salute.
A questo punto l’annosa questione della qualità di formazione del laureato ed accanto a questo la garanzia di professionalizzazione piena dello specializzando troverebbero una soluzione armonica, accanto ad una evidente coerenza anche con il sistema della formazione continua in medicina. Tale soluzione consentirebbe altresì di superare la concezione di una assistenza sanitaria come mezzo e strumento mediante il quale l’Università realizza i propri fini istituzionali, riaffermando invece il principio della unitarietà ed organicità del servizio offerto (all’utente paziente come a quello discente) che nasce dalla inscindibilità di didattica, assistenza e ricerca.
L’ipotesi di trasferimento di allocazione e di competenza delle Facoltà mediche al Ministero della Salute consentirebbe un enorme rientro di spesa, sia sul versante della sanità, non più gravato da costi assistenziali elevati e duplicati nei policlinici (che diventerebbero Aziende ospedaliere delle Regioni), che del sistema universitario liberato della parte più costosa, specifica ed invasiva del Sistema formativo, tale ormai da condizionare fortemente le scelte gestionali e gli equilibri interni di tutte le università italiane. Tale scelta consentirebbe altresì il superamento di una doppia linea di responsabilità, una accademica e una assistenziale che, all’interno delle attuali aziende ospedaliero-universitarie, vede comunque il permanere di logiche autoreferenziali che impongono soluzioni compromissorie e diseconomiche, aggravate altresì dalla diversità dei criteri metodologici di selezione e di valutazione del successo ai fini dei percorsi di carriera nell’accademia e nell’assistenza e che oggi condiziona queste aziende per l’automatico effetto di “prevaricamento” che hanno le prime sulle seconde.
Il valore aggiunto di un tale modello, gestito sulla base di una nuova normativa garante della assoluta parità di diritti ed opportunità tra personale dirigente medico e sanitario e personale universitario, discenderebbe anche dal trasferimento delle attività didattiche e di ricerca all’interno di tutte le articolazioni organizzative del SSN con innegabili benefici prospettici per l’innalzamento della qualità del sistema assistenziale.
Altra questione su cui sparigliare è quella della riduzione ad uno delle tipologie di rapporti contrattuali tra medici e servizio sanitario nazionale. Dentro lo stesso sistema (sistema che oltretutto deve garantire forti coerenze interne) operano dirigenti medici con rapporto di lavoro di dipendenza, medici con rapporto convenzionale (medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, specialisti cosiddetti Sumaisti e medici della continuità assistenziale) e medici con un rapporto convenzionale “mediato” dalle convenzioni con le Università.
Questa pluralità di tipologie di rapporti ostacola un funzionamento armonico del sistema. Ne è prova evidente la difficoltà che si incontra nella stragrande maggioranza delle regioni italiane ad introdurre modelli organizzativi innovativi nella assistenza sanitaria di base con il contributo dei medici di medicina generale e degli altri medici con rapporto convenzionale.
Fra l’altro, questa “frattura” tra medici dipendenti e medici convenzionati (dei medici universitari si è già parlato prima nella parte riguardante il ruolo dell’università) impedisce di fatto alcuni modelli organizzativi ed operativi che la gestione della cronicità richiederebbe invece di attivare. Un primo esempio è rappresentato dalla gestione dell’assistenza medica a livello residenziale e domiciliare. Avere affidato casi complessi a questi due livelli a medici senza una formazione ospedaliera sul campo, si traduce nella grande difficoltà alla deospedalizzazione e soprattutto in un grave rischio di re-ospedalizzazione. Un altro esempio ancora è rappresentato dalla gestione della malattia diabetica che richiederebbe una forte integrazione tra il livello specialistico e medicina generale che necessita di strutture, modelli organizzativi e rapporti contrattuali integrati e coerenti tra i due livelli. Un altro esempio ancora è la pratica impossibilità di garantire in questa situazione un utilizzo a livello territoriale dei medici dipendenti più anziani ed esperti che sarebbe ragionevole togliere dal sistema delle guardie, sistema faticoso dopo tanti anni di servizio. Questi medici ospedalieri dipendenti sarebbero a livello territoriale una grande iniezione di esperienza e competenza.
Anche nell’area della specialistica la presenza di dirigenti con una duplice tipologia di rapporto di lavoro costituisce un ostacolo ad una strutturazione dell’offerta in grado di perseguire il governo delle liste di attesa anche attraverso dell’appropriatezza oltreché attraverso un aumento mirato dell’offerta. Una enorme quantità di modifiche organizzative e culturali sono state ottenute con il processo di budget a livello di dirigenti medici dipendenti. Gli stessi cambiamenti nei confronti dei medici convenzionati diventano oggetto di interminabili trattative, in cui la tendenza alla monetizzazione sindacale di qualunque novità è purtroppo assai diffusa.
Per concludere, la situazione attuale forse può aiutare ad incidere radicalmente sulla struttura dell’offerta. Prendiamo ad esempio la rete cardiologica. Ha più senso una rete diffusa di cardiologie con UTIC di cui solo alcune attrezzate per svolgere attività di emodinamica? Con ogni probabilità oggi abbiamo bisogno di operare una netta distinzione tra le “nuove” cardiologie per acuti (da prevedere sempre con UTIC ed emodinamica) e le “altre” cardiologie da riservare a pazienti che non necessitano di una presenza nelle 24 ore e possono essere tranquillamente riassorbite nelle aree dipartimentali di medicina ed in quelle di post-acuzie.
L’evoluzione della tecnologia impone di ragionare in termini nuovi sui vecchi assetti ospedalieri per le diverse discipline. Per la sua rilevanza epidemiologica e per la sua attuale distribuzione capillare, la cardiologia sembra un buon banco di prova per una sanità che cerca di sparigliare sfidando abitudini e luoghi comuni.