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TRAMONTO DI UN MITO

     Giugno 27, 2017   No Comments

“Bologna come simbolo assoluto della moralità comunista e del suo modello alternativo rispetto al malgoverno romano. Oggi questo simbolo cade mediocramente e forse tragicamente…Perché sono le due Torri a crollare, il profilo della città, il senso di una diversità su cui si è formata l’immagine di Bologna”. Così Edmondo Berselli su Repubblica. “Laddove la Dotta non aveva difficoltà a produrre personale amministrativo di qualità…oggi invece è ridotta al lumicino. Sarà un caso però il PD alle prossime regionali ricandida il presidente Errani, ‘al suo terzo irrituale mandato’ come ha velenosamente scritto un altro professore petroniano, Gianfranco Pasquino. In città gli scettici dicono che Bologna non sia ormai capace di inventare più niente. Si è cancellata dall’Europa e si è relegata in provincia…Per ricominciare, Bologna forse dovrebbe partire da una provocazione che il sindaco Renato Zangheri pose una volta ai professori del Mulino:’Sapete più cose sui puritani del Massachusetts che sulle mondine emiliane’”. Così Dario Di Vico sul Corriere della Sera. Ancora sullo stesso quotidiano, Ernesto Galli Della Loggia: “Qui, a Bologna, il potere politico-culturale cittadino, fino al ’94 articolato in un polo cattolico-liberale e in un altro comunista, in feconda dialettica tra loro, si è riunificato sotto l’insegna del ‘prodismo’, dando luogo ad una vischiosa ‘palude’ notabilare che tutto ingloba e domina, e che può permettersi di designare come sindaco uno scialbo professorino come Delbono”. Valutazioni trancianti, impietose, provenienti da persone ed organi di stampa non certo della batteria politica antagonista. In crisi il mito, il modello bolognese ed emilianoromagnolo della sinistra di governo. Della “superiorità morale”. La crisi profonda del PD. In un contesto variopinto di situazioni. Prima il caso Marrazzo, il candidato ‘moralizzatore’ da anteporre alla criticatissima gestione laziale storaciana. Adesso è candidata a governatore di quella regione la radicale Emma Bonino. Il PD l’ha subita e si è diviso parecchio al suo interno. Non è stato capace di comporre e dare vita ad una proposta propria.

In Puglia ancora peggio. Il vertice del PD, Bersani e D’Alema, vuole sperimentare la nuova alleanza politica con l’UDC, prototipo della futura alleanza nazionale. Allo scopo è condizione che il governatore uscente di sinistra Nichi Vendola sia sostituito. Prima ci provano con il sindaco di Bari, che però non accetta di dimettersi da questo incarico se non dopo aver verificato l’eventuale elezione nell’altro. Allora di nuovo Boccia, quello che Vendola aveva già battuto nelle primarie  cinque anni prima. Il PD è costretto dalla resistenza vendoliana a fare le primarie anche stavolta. E ancora Vendola stravince. Ma adesso il vero risultato, più che quello, è la bruciante sconfitta di Bersani e D’Alema: personale e politica; con corollario l’evidente capitazione di leadership. E questa, al di là dei differenti toni, è la lettura diffusa di tutti i commentatori di tutti gli organi di stampa, di destra, di sinistra, indipendenti. E così molte valutazioni  affermano “la forte disarticolazione che nella periferia sta colpendo la sinistra”. Per Ilvo Diamanti (Repubblica) “ il PD oggi…non dà speranza. Perché non dice chi è, cosa intende fare e insieme a chi. È un ibrido. Forse: un equivoco. Un partito di massa senza apparato, con una debole presenza nella società e un ceto politico resistente. Al centro e in periferia. Un partito americano provincialista. Senza territorio, ma condizionato dalle oligarchie locali”. (Una analisi che richiama quanto disse, già più di un anno fa, l’emerito costituzionalista Zagrelbescki, a proposito del PD, sia in riferimento alla questione morale, sia alla diffusione e pervasività di quei figuri che sono i cacicchi).

Quel che più tormenta il popolo di sinistra avveduto è che, depurato dell’antiberlusconismo, un altro connotato forte (proposta, parola d’ordine, slogan, qualcosa, come dice Diamanti di “memorabile”, che resti nella memoria) non c’è. Una vasta, complessa e profonda difficoltà.

E non ne è appunto estranea la regione modello, la nostra. E non tanto per il caso Delbono. È semmai la punta di un iceberg. Anche in Emilia-Romagna manca una capacità di reazione alla crisi; più efficace anche in ragione della esperienza del “modello”. Ai riformisti veri (non ai massimalisti) e a quanti vorrebbero poter apprezzare una buona capacità di alternativa, fatta di proposte serie, di qualcosa di “memorabile”, è difficile dire quanto possa piacere che, anche in Emilia-Romagna, l’asse portante della larga alleanza costruita da Bersani ed Errani per le regionali è fondato sull’accordo con Di Pietro. Una volta si parlava di egemonia del Pci. Oggi risalta molto il condizionamento dipietrino. Due sottolineature per chiudere questa che è una panoramica più che un commento. La prima: la politica si è attorcigliata perfino nelle lenzuola delle camere da letto: quando si usa di tutto, perfino il moralismo come clava, per battere il nemico,. È lo specchio della più disarmante mediocrità: nel quale taluni credono di vedere riflessa la propria supposta purezza di contro all’immoralità altrui. Ognuno faccia la vita privata che crede. Sono affari suoi. Quel che invece è questione politica, e non è moralismo, è la deviazione del denaro pubblico per soddisfare vizi privati. (L’illecito, se c’è, è questione della Magistratura). Che brutta cosa questo moralismo un tanto al chilo! Tanto che ritorna con sovrappiù aggravato proprio addosso a chi lo sbraita. Chi considera la cosa pubblica come cosa propria, chi si sente parte di un sistema di potere che tutto gestisce, arbitrariamente, al sicuro da ogni insidia, di qualsiasi tipo, può anche arrivare alle illecite insulsaggini di cui la stessa magistratura sta occupandosi. Il punto vero è che è lecito ritenere che queste sono solo la punta di un iceberg. Non basta limarne o occultarne la punta; bisogna intaccarlo in profondità. La seconda sottolineatura riguarda questa nostra sinistra che si cimenta per essere riconfermata alla quida della regione Emilia-Romagna. C’è molto bisogno di una moderna cultura di governo. Di innovazione programmatica. Di scelte precise ( come dare una nuova governance al sistema della sanità regionale: più efficace, trasparente e funzionale; come snellire le procedure burocratiche; come non rallentare le scelte necessarie per annose e fondamentali infrastrutture). A quella cultura che manca non si sopperisce ponendo anche, a questo riguardo, una supposta “superiorità” che non c’è; né facendo operazioni di solo maquillage che finiscono per celare una  schiera di nuovi cacicchi, come è già, a volte, avvenuto. Ci si deve dotare degli apporti concreti e non finti di quella cultura di cui la sinistra oggi è ancora mancante. A nessuno può e deve dispiacere che la nostra regione possa essere un modello. Di buon governo, però. E questa è la sfida tutta ancora da farsi e da vincere. È su questo crinale che la sinistra darà mostra se sarà conservatrice oppure innovativa e sul serio riformista e riformatrice.

  •   Published On : 7 anni ago on Giugno 27, 2017
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  •   Last Updated : Giugno 27, 2017 @ 9:27 am
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